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Lecce: la festa dopo il derby, a giudizio 39 tifosi per manifestazione non autorizzata
29 Dicembre 2015 - letto 2306 volte

Manifestazione non autorizzata. E’ questa l’ipotesi di reato formulata nei confronti di trentanove tifosi leccesi cui è stato notificato, nelle scorse, la citazione diretta a giudizio, per il 9 marzo prossimo, dinanzi al giudice monocratico della seconda sezione penale del Tribunale di Lecce. Si tratta di una vicenda giudiziaria che trae origine dal lontano 2011.

E’ il 15 maggio quando al San Nicola di Bari va in scena uno dei derby più discussi del calcio nostrano, quella della presunta combine. In una calda domenica di maggio, Bari e Lecce danno vita a un derby destinato a riempire più che le cronache sportive quelle giudiziarie. A far impazzire i supporter salentini, dopo una manciata di minuti nella ripresa, è il gol di Jeda. Una rete che fa sognare un'intera regione, che vede la salvezza ormai vicinissima. Ci pensano l'autogol di Andrea Masiello (dai contorni oscuri) e il gol di Pinilla (per il Palermo) a completare la festa del Lecce e di tutto il Salento. I giallorossi, superiori in campo e anche sugli spalti, non si scompongono, fanno festa e intonano una pizzica in versione calcistica. La festa per la salvezza raggiunta nel derby (il sogno di ogni tifoso) prosegue per le vie del capoluogo salentino, dove un carosello spontaneo parte da Porta Napoli per raggiungere piazza Sant’Oronzo, cuore del capoluogo barocco. Un pomeriggio di festa in cui un’intera città scende in strada per festeggiare la permanenza nella massima serie calcistica (poi cancellata dalle sanzioni della giustizia sportiva).

Secondo l’ipotesi accusatoria gli indagati avrebbero "organizzato e partecipato a una manifestazione non autorizzata in occasione dell’incontro Bari-Lecce, dapprima convergendo nei pressi dello stadio “via del mare” all’esterno delle Curva Nord”. “Successivamente – contesta ancor l’accusa – recandosi in corteo in piazza Sant’Oronzo, occupando parte della piazza a successivamente l’Anfiteatro, accendendo e lanciando nel contempo fumogeni e latro materiale esplodente”. In particolare sarebbero stati alcuni degli indagati a guidare il corteo, che reggevano lo striscione in prima fila accendevano un fumogeno mentre guidavano il corteo all’interno dell’Anfiteatro.

Il decreto di citazione diretta a giudizio è stato emesso per i 39 tifosi.

Ora, in attesa che la giustizia compia il suo corso, appare quanto mai singolare contestare per quei festeggiamenti la violazione dell’articolo 18 del Tulps (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza). Tale articolo (datato 1931) prevede che “i promotori di una riunione in luogo pubblico o aperto al pubblico devono darne avviso, almeno tre giorni prima, al questore. E’ considerata pubblica anche una riunione, che, sebbene indetta in forma privata, tuttavia per il luogo in cui sarà tenuta, o per il numero delle persone che dovranno intervenirvi, o per lo scopo o l'oggetto di essa, ha carattere di riunione non privata. I contravventori sono puniti con l'arresto fino a sei mesi e con l'ammenda da 103 a 413 euro”. Partendo dal principio, tutt’altro che dimostrato, che quella vissuta in quella domenica di maggio fu una manifestazione non autorizzata e non una festa popolare (l’esempio più calzante è quello di una vittoria della nazionale di calcio), il reato può essere contestato solo ai presunti promotori di quella specie di riunione “sediziosa”, ammesso che ve ne fossero. L’ipotesi di manifestazione autorizzata contrasta con il diritto di riunione sancito dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Sarcastico sulla vicenda l’avvocato Giuseppe Milli, legale di quindici degli indagati: “Se il signor Masiello avesse avvisato i tifosi per tempo della tanto discusa combine, avrebbero potuto programmare i festeggiamenti e chiedere l’autorizzazione”. Al tempo stesso di dice “pronto a dare battaglia nei modi e nei tempi previsti dalla legge e dinanzi agli organi competenti”.

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